Siamo esattamente a metà di questo 2025. Davanti a noi 6 mesi nuovi di zecca.
Ogni giorno può essere l’occasione per trasformare (in meglio) la nostra vita, ma queste date simboliche possono rendere la nostra trasformazione un pochettino più epica.
Allora ti chiedo: come vivrebbe i prossimi 6 mesi la persona che vuoi diventare?
“Costanza > Motivazione”.
Che belle sono quelle giornate in cui ci svegliamo super-pimpanti, energici e motivati?!
In quei giorni tutto ci appare possibile e tutto ci riesce con facilità.
C’è solo un problema: se il nostro piano nella vita è aspettare queste giornate “magiche”per darci da fare, difficilmente realizzeremo i nostri sogni.
La motivazione è un’emozione belissima ed è importante ascoltarla, perché ci indica se stiamo per intraprendere progetti professionali e personali che risuonano con la nostra anima.
Dobbiamo però smetterla di pensare che una volta trovata “la strada giusta”saremo sempre motivati: è una balla.
I momenti di motivazione sono come quei cartelli che compaiono di tanto in tanto su un ripido sentiero di montagna: ci danno conferma che stiamo seguendo la traccia corretta, ma non rendono il sentiero meno faticoso.
Quello che ci porterà in cima sono i passi che compiamo uno dietro l’altro, senza fretta, ma senza sosta.
La costanza batte la motivazione ogni singolo giorno dell’anno.
E so molto bene che non ci sarai. Non ci sarai nella strada, non nel mormorio che sgorga di notte dai pali che la illuminano, neppure nel gesto di scegliere il menù, o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee, nei libri prestati e nell’arrivederci a domani. Nei miei sogni non ci sarai, nel destino originale delle parole, né ci sarai in un numero di telefono o nel colore di un paio di guanti, di una blusa. Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te, e non per te comprerò dolci, all’angolo della strada mi fermerò, a quell’angolo a cui non svolterai, e dirò le parole che si dicono e mangerò le cose che si mangiano e sognerò i sogni che si sognano e so molto bene che non ci sarai, nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo, nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti. Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo, e quando ti penserò, penserò un pensiero che oscuramente cerca di ricordarsi di te.
Non ci sarai, eppure ci sei
Ci sono parole che sembrano scritte con l’inchiostro delle assenze più vere. Eppure… mentre leggevo, ho pensato a te. A come ci si può ricordare di qualcuno anche quando ci si impone di dimenticarlo. A quell’angolo dove, per un periodo della mia vita, speravo di vederti spuntare. Al menù sfogliato in due, ai posti “tutti occupati” che diventavano occasione per riderci su. Ho pensato a quanto sia strano sentirsi pieni di mancanza.
Questo testo è una dedica a ciò che rimane quando nulla è rimasto. È per te, che non ci sei da tanto ma che, come una piccola eco, riesci ancora a bussare piano ai miei pensieri. E io, lo ammetto, continuo ogni tanto a fermarmi a quell’angolo, in quel parco, su quella pachina anche se so che non ci sarai.
Perché ci sono assenze che lasciano una presenza sottile, come polvere di luce. E a modo loro, restano.
Quanto costano le insicurezze? Le mie? Circa cinque anni di corse, notti storte e almeno 10.000 euro senza contare libri, viaggi, ferie saltate e qualche cena rimandata.
È questo, più o meno, il prezzo della mia laurea.
Ma in realtà, non è mai stata una questione di soldi. Il vero nodo era un altro: perché sentivo il bisogno di farlo?
Lavoravo già nell’informatica da una vita. Letteralmente. Già da ragazzino smanettavo con codici e cose che, all’epoca, sembravano solo hobby nerd… e invece oggi mi ci pago il mutuo.
Qualsiasi competenza, volendo, potevo trovarla in un libro o in un corso online. Bastava la voglia. Ma allora perché? Perché cercavo una medaglietta.
La verità è che laurearmi lì, in quel posto, significava sentirmi abbastanza. Sentirmi uno di quelli giusti. Quelli con il bollino. Come se la pergamena dicesse al mondo (e a me stesso): “Ehi, vedi? Valgo anch’io.”
C’è una cosa strana che succede certe mattine. Ti svegli, ti fai il caffè, guardi fuori e c’è il sole… ma dentro senti acqua. Una pozzanghera emotiva. E non sai da dove arriva.
Oggi ho ascoltato una canzone, così, senza pensarci. Quelle cose che partono in automatico mentre cerchi le chiavi o ti metti le scarpe al volo. E niente, a metà mi sono ritrovato con gli occhi lucidi. Mi è venuta in mente una persona. Una storia. Un addio in macchina. Uno di quei momenti in cui fai finta di sapere quello che stai facendo, ma dentro hai solo un cartello giallo con su scritto “Attenzione, il pavimento è bagnato”.
Perché lo era, cazzo. Era tutto bagnato. Di lacrime non versate. Di parole lasciate a metà. Di quei “per sempre” detti con la voce, ma non con il cuore.
Mi è venuto da ridere e da piangere insieme. Perché certe cose, quando ci ripensi, sembrano cinema.
E invece eri solo tu, con gli occhi pieni di futuro mentre mi guardavi come si guarda una promessa fatta sotto il cielo stellato, come se avessimo già scritto insieme la nostra storia, pagina dopo pagina. E io, lì accanto, come chi stringe tra le mani una lettera d’amore scritta di notte, con il cuore che batte forte ma con il timore di non sapere se sia il momento giusto per inviarla. Il cuore diviso tra il desiderio di abbracciarti ogni giorno, l’amore che nutro per la mia famiglia che è come una radice che non voglio spezzare, e il sogno di scoprire un po’ di me, come se ci fosse un capitolo che non avevo mai letto, ma che forse era proprio quello che mi manca.
Poi il tempo fa quello che sa fare bene: cambia gli indirizzi, sposta le priorità, cancella i nomi salvati con il cuoricino.
E tu rimani lì. Con il cuore pieno di cose che non sai più dove mettere. Con i vetri rotti che però erano plastica. Con la voglia di dire “mi dispiace” anche se non serve più a niente.
Mi ha fatto piangere, quella canzone. E manco so perché. O forse lo so, ma non ho voglia di dirmelo.
Di questa meravigliosa canzone non esiste il testo su internet, ne la sua traduzione, allora approfitto ! 🙂
Questa canzone parla di una persona che continua a scappare da tutto, inclusi i legami affettivi, le responsabilità e forse anche da sé stessa. Il testo mostra qualcuno che prende quello che vuole, ma non si ferma mai a costruire qualcosa di duraturo, lasciando dietro solo relazioni vuote e dolore.
La frase ricorrente “You do it to yourself” (“Lo fai a te stesso/a”) sottolinea che le conseguenze sono frutto delle sue stesse azioni, non c’è nessun altro da incolpare.
La parte più dura arriva con l’immagine di essere “solo una pietra di passaggio” – cioè qualcuno che gli altri usano per andare avanti, senza valore duraturo. È una riflessione amara su quanto, a forza di evitare amore e vulnerabilità, si rischia di diventare irrilevanti nelle vite degli altri.
È un brano che mescola rimpianto, accusa e consapevolezza, perfetto per chi riflette su scelte passate e sul modo in cui affronta i rapporti personali.
La canzone è un ritratto amaro di chi vive in fuga da sé stesso, incapace di amare o lasciarsi amare. Alla fine, il messaggio è chiaro: tutto ciò che è andato storto non è colpa degli altri — “it’s all from your own”. L’essere una “stepping stone” (pietra di passaggio) diventa il simbolo della solitudine e del non appartenere mai a nulla.
Testo :
Did you find what you were looking for? And take it with you when you walked out the door? I hope you rub yourself in the lover’s eyes Cause even so, you’re still on fire
Was what you wanted, but you never stayed You do it to yourself
Just a start
You won’t settle on taking it slow So you carry your baggage everywhere you go Now you’ve burned every mountain And climbed to the best that you made And you took what you wanted But you never stayed
You do it to yourself, you fool Can you blame? You walked out on your own life You never had love and it never happened You never had love and it’s all, it’s all from your own That’s why you’re just a stepping stone
Why do you have to, have to move on again? You do it to yourself you fool Who can you blame?
You walked out on your own life You never had love and you never had pain You never had a love and a soul, saw it from your own That’s why you’re just a stepping stone You do it to yourself, you fool That’s why you’re just a stepping stone
Traduzione :
Hai trovato quello che stavi cercando? E l’hai portato con te quando hai varcato la porta? Spero che ti rifletta negli occhi dell’amante Perché, nonostante tutto, bruci ancora
Era quello che volevi, ma non sei mai rimastə Lo fai a te stessə
Solo un inizio
Non riesci ad accontentarti di rallentare Così ti porti il tuo bagaglio ovunque tu vada Hai bruciato ogni montagna E scalato fino alla cima che ti sei creatə E hai preso ciò che volevi Ma non sei mai rimastə
Lo fai a te stessə, scioccə Di chi è la colpa? Hai abbandonato la tua stessa vita Non hai mai avuto amore, e non è mai successo Non hai mai avuto amore, ed è tutto, tutto per colpa tua Ecco perché sei solo una pietra di passaggio
Perché devi, devi andartene di nuovo? Lo fai a te stessə, scioccə Chi puoi incolpare?
Hai abbandonato la tua stessa vita Non hai mai avuto amore e non hai mai sofferto Non hai mai avuto un amore e un’anima, lo hai visto solo con i tuoi occhi Ecco perché sei solo una pietra di passaggio Lo fai a te stessə, scioccə Ecco perché sei solo una pietra di passaggio
Un messaggio d’amore, un invito a volerci bene ogni giorno. Ad accoglierci così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. A non sentirci mai inferiori, mai sbagliati, nemmeno quando lo sguardo degli altri sembra dirci il contrario.
Chi ci ama davvero ci accetta in ogni sfumatura, accarezza le nostre ferite invisibili, ci sostiene e tira fuori il meglio di noi. È balsamo, è forza, è cura.
Ma per amare gli altri, dobbiamo prima amare noi stessi.
Abbattiamo le barriere della paura, degli stereotipi, dei giudizi. Ascoltiamoci davvero. Parliamo al nostro Io più profondo.
Perdonare le persone in silenzio e scegliere di non parlare mai più con loro non è né rabbia né rancore. È un modo per proteggersi. È accettare di lasciar andare ciò che appartiene al passato, senza riaprire la porta a una nuova sofferenza. Perdonare non significa dimenticare… Significa scegliere la pace per sé stessi.
Ogni volta che rimandiamo la sveglia. Ogni volta che saltiamo l’allenamento. Ogni volta che passiamo ore a scrollare. Ogni volta che mangiamo quelle porcherie. Ogni volta che andiamo a dormire troppo tardi. Ogni volta che non manteniamo quella promessa.
…stiamo negoziando con noi stessi.
E il problema è che siamo pessimi negoziatori.
Al tavolo della trattativa mentale a vincere è sempre la peggiore parte di noi, quella che vive di comfort immediati a scapito del nostro benessere e della nostra felicità a lungo termine.