Spegnere tutto

Ci sono momenti nella vita in cui il dolore diventa insostenibile. Situazioni in cui il cuore è così ferito che l’unica soluzione sembra essere spegnere tutto.

Ricordo perfettamente il giorno in cui presi quella decisione. Ogni dettaglio è impresso nella mia memoria: il luogo in cui mi trovavo, il colore della chat aperta davanti a me, il periodo dell’anno, persino cosa avevo mangiato quel giorno. È strano come, nei momenti cruciali della vita, tutto si cristallizzi nella mente con un’accuratezza quasi maniacale. Ogni particolare diventa un tassello di quel ricordo indelebile. E fu in quell’istante che mi feci una promessa: basta emozioni, basta aspettative, basta dolore. Dovevo proteggermi, e l’unico modo per farlo era spegnere tutto.

All’inizio funzionò. Vivevo in una sorta di bolla, distante, inaccessibile. Nessuna delusione, nessuna sofferenza. Eppure, con il passare del tempo, iniziai a rendermi conto che insieme al dolore, avevo spento anche tutto il resto. Avevo perso l’amore, il sesso, il calore di un abbraccio, la complicità, il desiderio. Ero diventato un’ombra di me stesso.

Come spesso, mi piace accostare una canzone ad un sentimento, e “La notte di Arisa” è perfetta:

“E se fosse l’ultima notte sarebbe bellissima, perduta tra le tue braccia a ridere di questa vita.”

Mi fermai, ascoltando ogni nota, ogni parola che sembrava parlare di me. La notte porta con sé il peso dei pensieri, ma anche la speranza che il buio non sia eterno.

Avrei voluto dire che in quel momento tutto è cambiato, che la luce ha vinto sul buio. Ma la verità è che sto ancora combattendo. Ogni notte è una battaglia tra la voglia di restare nell’ombra e il desiderio di lasciarmi scaldare da un nuovo giorno. E forse, proprio in questa lotta, sto iniziando a ritrovare me stesso.

Forse siamo una canzone

Mi piace pensare a certe storie in questo modo: si fondono con una canzone, e ogni volta che la ascolti, senti che appartiene a quella storia.

Ogni tanto mi ritrovo qui a risentire questa canzone e non può che ritornarmi in mente tu. Me la fece sentire un pomeriggio, non era mio genere e non amavo Cremonini, anzi mi stava sulle palle, ma subito dopo il primo ascolto fu amore a prima vista. Io e te, che eravamo argento fra le stelle, che abbiamo sempre sognato un futuro assieme, che non abbiamo mai smesso di credere in “noi” nonostante la distanza ci stesse distruggendo, tu che sei stato il solo grado di capirmi, e che mi ha regalato la sera più bella della mia vita quando in quella stanza di albero a Firenze mi ha detto che avevi letto il blog, esattamente dove non dovevi.

Poi un giorno “lui si svegliò senza lei nudo nella tempesta” e ho dovuto ricominciare tutto da capo, stavolta senza di te al mio fianco, a piccoli passi.

Nell’oscurità

È ormai da qualche giorno che mi ronza in testa questa frase:

“La vittoria è celebrata nella luce, ma è vinta nell’oscurità”.

Questa frase è apparsa nella prima puntata di “Dune: la profezia”, che ho rivisto ultimamente per poter vedere il secondo episodio con una memoria rinfrescata.

Più ci penso e più mi convinco che i momenti più significativi della nostra vita, seppur celebrati sotto i riflettori, in realtà nascono altrove…

Nascono nell’intimità delle nostre scelte quotidiane e nel silenzio delle ore dedicate ad un impegno spesso invisibile agli altri.


Oggi più che mai, la nostra è la società del visibile.

Misuriamo il nostro valore e il nostro successo con metriche decise in qualche azienda della Silicon Valley.

Cuoricini, like, visualizzazioni, followers, condivisioni.

Che si tratti della laurea, una gara sportiva, la nascita di un figlio, una vacanza, un concerto: se non celebriamo questi accadimenti nella luce degli schermi dei nostri smartphone, sentiamo quasi di non averli vissuti davvero.

Ed è diventata talmente importante questa celebrazione sotto i riflettori digitali, che c’è chi sente la pressione di dover fingere questi successi non ancora raggiunti con filtri per video e foto, auto sportive a noleggio, orologi di lusso falsi, un eccessivo ricorso alla chirurgia estetica o vacanze pagate con dei prestiti.

Per questo oggi ciò che è invisibile, ciò che è autentico, è più importante che mai.

Da questo punto di vista, l’oscurità non è un luogo di paura, ma uno spazio di potenzialità.

È nell’oscurità, lontano dai riflettori, che impariamo a confrontarci con noi stessi e le nostre insicurezze.

È nell’oscurità, di quei giorni senza infamia e senza lode, che impariamo a coltivare le nostre competenze e la nostra costanza.

È nell’oscurità, della vita non condivisa a mezzo social, che assaporiamo il valore dei rapporti autentici.

La vera vittoria è già nostra, ogni volta che scegliamo di fare un passo avanti, anche quando nessuno ci sta guardando.

Abbraccia l’invisibile caro Luigi. Coltiva la tua definizione di successo lontano dai riflettori.

Ciò che fai oggi nell’oscurità, sarà ciò che illuminerà il tuo domani.


La Lezione di vita di Simone

Caro figlio mio,

voglio raccontare qui una storia di coraggio, una di quelle che mi ha lasciato senza parole e pieno di ammirazione. Sei ancora un bambino, hai solo nove anni, ma dimostri una forza e una maturità che mi ispirano profondamente.

Ricordo quando, lo scorso anno, hai preso la difficile decisione di lasciare la squadra della Cambiaghese, la squadra dei tuoi compagni di scuola, di tutti quelli che conoscevi bene. Passare all’Agrate significava uscire dalla tua comfort zone, una scelta dura a qualsiasi età, figuriamoci alla tua. Sapevi bene che lasciare la Cambiaghese avrebbe significato anche staccarti dai tuoi amici e abbandonare tutto ciò che avevi costruito in campo e fuori, ma l’hai fatto con coraggio, desideroso di crescere e metterti alla prova.

Quest’anno, però, ti sei superato. Non solo hai accettato di lasciare la sicurezza della tua vecchia squadra, ma hai deciso di affrontarla sul campo, nello scontro inevitabile di questa stagione. E non è stato affatto facile. La settimana precedente, hai subito ogni tipo di pressione: quasi tutta la scuola, con un pizzico di invidia, ti ripeteva che avresti perso. Quella degli adulti : “Ue Simo, sei pronto a perdere?” E non era solo una questione di parole: sapevi che avresti giocato con la squadra B dell’Agrate, non con la A, aumentando così la possibilità di perdere.

Per metterti un po’ di pace, ti ho persino dato una via d’uscita, una di quelle comode e rassicuranti. Ti ho detto che avrei potuto parlare con il mister per evitarti la partita, oppure avrei potuto chiedere di inserirti nella squadra A. Ma tu, con una maturità che mi ha stupito, hai scelto di non scappare, di non cercare scorciatoie. Hai voluto affrontare tutto di petto, con il coraggio che serve per essere un vero campione e, ancora di più, per essere una persona che crede in se stessa, e questo caro figlio mio, ti servirà nella vita !

E così hai giocato. Non solo hai dato il massimo, ma l’hai fatto con una grinta straordinaria, in un ruolo che nemmeno era il tuo. Hai chiuso l’incontro con un clamoroso 8-1, senza mai perdere il rispetto per i tuoi avversari, i tuoi vecchi compagni. Hai festeggiato con misura, senza infierire, mostrando rispetto anche nei giorni seguenti. Hai dimostrato che il vero coraggio non sta solo nel vincere, ma anche nel saper rispettare gli altri, soprattutto quando si vince.

Chissà come sarebbe andata se fosse successo il contrario. Ma quello che conta, oggi, è che hai imparato una lezione che ti servirà per tutta la vita: il coraggio di credere in te stesso e di accettare le sfide, sapendo che a volte il risultato è meno importante del percorso che hai scelto di fare. Sono orgoglioso di te, figlio mio.