Pain and Anger

Mi ritrovo immerso in un profondo silenzio interiore, mentre le parole del testo risuonano nel mio intimo. Mi chiedo come mai e le ragioni per cui talvolta devo entrare in contatto con queste sensazioni, come se ci fosse qualcosa sotterrato nel mio cervello che periodicamente emerge, richiedendo attenzione.

Ricordi, emozioni, esperienze che abbiamo scelto di nascondere, di seppellire nel tentativo di preservarci o di allontanarci dal dolore che potrebbero suscitare. Sono frammenti di un passato che ci appartiene, ma che talvolta evitiamo di affrontare.

Nel profondo dell’anima, affiora un’altra verità. La violenza, con le sue fauci insaziabili, è entrato pervasivamente nel mio essere, lasciando cicatrici invisibili ma profonde. È una forza distruttiva che cerco costantemente di contrastare, una marea di rabbia che brucia dentro di me.

Per contrastarla vivo spesso in un non Luigi che è diventato sempre meno aggressivo, sempre più calmo e con il desiderio di non accendere mai attriti. Attrito, discussione, rabbia, violenza. All’improvviso.

La violenza, sia essa fisica o emotiva, ha il potere di sconvolgere l’equilibrio della nostra esistenza. Essa si insinua nelle pieghe della nostra mente, mina la nostra capacità di fidarci, di amare, di sperare. Ed è in quel buio, in quelle profondità oscure, che dobbiamo affrontare una scelta.

Ma la lotta non è priva di sfide. La rabbia può bruciare dentro di me come una fiamma incontrollabile, spingendomi verso l’impulso di rispondere con la stessa violenza che combatto. È qui che devo trovare la forza interiore per canalizzare quella rabbia in azioni positive.

E mentre affronto questa lotta, tengo saldo il ricordo di quelle parole, che siano la forza che mi spinge avanti: “In this river all shall fade to black, ain’t no coming back.”

there is no way back

KOMOREBI – 木漏れ日

Una delle mie parole preferite in assoluto è questa, komorebi, la luce che filtra tra le foglie degli alberi. C’è qualcosa di assolutamente poetico, quasi magico, in una cultura che crea una parola apposta per un concetto del genere.

Ma la meraviglia di questa parola non è limitata al suo significato. Sia come vocabolo in sé, sia dal punto di vista dei kanji, è una parola davvero molto interessante. Cominciamo a chiederci… Da dove viene?

Komorebi è in realtà un termine composto… da ben tre parole! 木 ki, albero, 漏れ more, da 漏れる moreru, perdere, gocciolare, e infine 日 hi, sole, giorno. E su tutte e tre c’è qualcosa di speciale da dire.

木 ki, albero, è sempre pronunciato “ki”, appunto (come kun’yomi)… tranne che in tre vocaboli, in cui è pronunciato “ko” (be’, tre sono quelli che val la pena ricordare): 木霊 kodama, l’eco (o, letteralmente, “lo spirito degli alberi”), 木立 kodachi, cespuglio, e 木漏れ日 komorebi, appunto. Piccola curiosità, in passato aveva anche una pronuncia “ku”, rimasta nella parola 果物 kudamono (=ki no mono, lett. “le cose degli alberi”), ovvero “la frutta”… forse qualcuno ricorderà che ne ho parlato qui, a proposito di “no” e delle sue “varianti”.

漏れる invece riguarda liquidi o gas che gocciolano/fuoriescono quando qualcosa perde e, in senso figurato, suoni, luce, informazioni… Potrebbe non suonare benissimo pensare a una “perdita”, ma trovo ci sia comunque qualcosa di molto poetico nel vedere questa luce che ci piove addosso filtrando tra i rami degli alberi. E se vi sembra strano, pensate che esiste l’espressione 木漏れ日に濡れる komorebi ni nureru, bagnarsi nella luce che filtra tra gli alberi.

日 hi, infine, letto “bi” come capita in certe parole composte, normalmente indica il sole o, per estensione, il giorno, ma qui con una metafora (abbastanza rara) assume il senso di luce …tanto che komorebi può usarsi anche in riferimento alla luce della luna. Anche se a guardare l’immagine qui sotto, forse dovremmo includere anche la luce delle stelle… 😉