Why i switched form docker desktop to Colima

DDEV is an open source tool that makes it simple to get local PHP development environments up and running within minutes. It’s powerful and flexible as a result of its per-project environment configurations, which can be extended, version controlled, and shared. In short, DDEV aims to allow development teams to use containers in their workflow without the complexities of bespoke configuration.

DDEV replaces more traditional AMP stack solutions (WAMP, MAMP, XAMPP, and so on) with a flexible, modern, container-based solution. Because it uses containers, DDEV allows each project to use any set of applications, versions of web servers, database servers, search index servers, and other types of software.

In March 2022, the DDEV team announced support for Colima, an open source Docker Desktop replacement for macOS and Linux. Colima is open source, and by all reports it’s got performance gains over its alternative, so using Colima seems like a no-brainer.

Migrating to Colima

First off, Colima is almost a drop-in replacement for Docker Desktop. I say almost because some reconfiguration is required when using it for an existing DDEV project. Specifically, databases must be reimported. The fix is to first export your database, then start Colima, then import it. Easy.

Colima requires that either the Docker or Podman command is installed. On Linux, it also requires Lima.

Docker is installed by default with Docker Desktop for macOS, but it’s also available as a stand-alone command. If you want to go 100% pure Colima, you can uninstall Docker Desktop for macOS, and install and configure the Docker client independently. Full installation instructions can be found on the DDEV docs site.

An image of the container technology stack.

(Mike Anello,CC BY-SA 4.0)

If you choose to keep using both Colima and Docker Desktop, then when issuing docker commands from the command line, you must first specify which container you want to work with. More on this in the next section.

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Install Colima on macOS

I currently have some local projects using Docker, and some using Colima. Once I understood the basics, it’s not too difficult to switch between them.

  1. To get started, install Colima using Homebrew brew install colima
  2. ddev poweroff (just to be safe)
  3. Next, start Colima with colima start --cpu 4 --memory 4. The --cpu and --memory options only have to be done once. After the first time, only colima start is necessary.
  4. If you’re a DDEV user like me, then you can spin up a fresh Drupal 9 site with the usual ddev commands (ddev config, ddev start, and so on.) It’s recommended to enable DDEV’s mutagen functionality to maximize performance.

Switching between a Colima and Docker Desktop

If you’re not ready to switch to Colima wholesale yet, it’s possible to have both Colima and Docker Desktop installed.

  1. First, poweroff ddev:ddev poweroff
  2. Then stop Colima: colima stop
  3. Now run docker context use default to tell the Docker client which container you want to work with. The name default refers to Docker Desktop for Mac. When colima start is run, it automatically switches Docker to the colima context.
  4. To continue with the default (Docker Desktop) context, use the ddev start command.

Technically, starting and stopping Colima isn’t necessary, but the ddev poweroff command when switching between two contexts is.

Recent versions of Colima revert the Docker context back to default when Colima is stopped, so the docker context use default command is no longer necessary. Regardless, I still use docker context show to verify that either the default (Docker Desktop for Mac) or colima context is in use. Basically, the term context refers to which container provider the Docker client routes commands to.

Try Colima

Overall, I’m liking what I see so far. I haven’t run into any issues, and Colima-based sites seem a bit snappier (especially when DDEV’s Mutagen functionality is enabled). I definitely foresee myself migrating project sites to Colima over the next few weeks.

redenzione laica

I servizi di psichiatria vedono crescere il numero di giovani che accusano forme di disagio psichico. Un fatto allarmante, che più che il segnale di un aumento delle patologie, è il sintomo di un malessere generale che permea la società. Un fenomeno che costringe a interrogarci su che cosa si basi la nostra società, su quali siano le cause delle paure che ci portano a rinchiuderci in noi stessi. I problemi dei più giovani sono il segno visibile della crisi della cultura occidentale fondata sulla promessa del futuro come redenzione laica. Si continua a educarli come se questa crisi non ci fosse, ma la fede nel progresso è sostituita dal futuro cupo, dalla brutalità che identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri.

Luigi è a lavoro ?

Se nei giorni in cui lavoro da remoto entra qualcuno in ufficio chiedendo di me, ecco non dite mai “No, oggi Luigi non c’è, è in smartworking” ma rispondete “Sì, sì, oggi Luigi c’è, lavora in smartworking”.

Si potrebbe sintetizzare così lo smartworking, in italiano il lavoro agile. Perché si lavora anche così, non necessariamente seduti alla scrivania nel proprio ufficio. L’abbiamo imparato, chi già non lo faceva prima, in questi due anni di pandemia. Ci si può organizzare meglio, si risparmia tempo e tanto la produttività quanto la vita personale ne traggono vantaggio. Win-win, per stare sull’inglese. Che poi, per rispondere agli scettici, guardate che chi non lavora da casa, di regola non lavora neppure dall’ufficio.

Dal 1 settembre, ormai ci siamo, torna obbligatorio l’accordo individuale, sospeso negli ultimi due anni. Cos’è? È il fulcro dello smartworking (che ricordiamo non è un contratto di lavoro ma una sua modalità di esecuzione).

Datore di lavoro e lavoratore si devono mettere d’accordo su come organizzare il lavoro, in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro. È un accordo, il che significa che se una delle parti non è – appunto – d’accordo non se ne fa nulla. Ed è individuale, non collettivo (anche se spesso regolamenti o contratti collettivi possono dare indicazioni).

L’accordo deve essere stipulato in forma scritta, dicono le norme, “ai fini della regolarità amministrativa e della prova” e deve essere conservato dal datore di lavoro per cinque anni dalla sua sottoscrizione. Nessuna sanzione esplicita se manca l’accordo, ma conseguenze in base ai fini che è chiamato a raggiugere. Come provare i contenuti dell’accordo? Quali le conseguenze in caso di infortunio?

Novità degli ultimi giorni: l’accordo individuale, a differenza del periodo pre-pandemico, non deve più essere trasmesso al Ministero del Lavoro al quale basterà sapere (oltre all’elenco dei lavoratori interessati) la data di sottoscrizione dell’accordo e la sua durata. La comunicazione di questi dati (che poi il Ministero trasmetterà all’Inail) dovrà essere effettuata entro cinque giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, pena una sanzione pecuniaria da 100 a 500 euro. Per la prima fase transitoria il termine è fissato al 1 novembre.

Bene, inizia la fase due dello smartworking ordinario e non più emergenziale!

E ricordatevi che risposta dare quando, non trovandomi in ufficio, vi chiederanno “Oggi Luigi è al lavoro?”.

orme

Emma 29 agosto 2022

Tu padre che non eri ancora pronto, ma davanti al tuo bimbo cambiasti  la tua vita.

Mentre lo stringevi lui ti sorrideva ed il tuo cuore già sapeva che era ciò che tu volevi.

Tu padre che non eri ancora pronto ora sei maestro di questo figlio quasi uomo che tanto ti somiglia.

Questo figlio che ha imparato tra le guerre quotidiane che nessuno gli regala i suoi sogni nel cassetto.

Mentre ambizioso e forte sceglierà il suo cammino sa che le tue braccia lo sorreggeranno.

Tu padre che gli hai insegnato tanto ora ne sei certo: ‘impronta che hai lasciato lui la seguirà.